Alba, solitaria di luce, di nebbie e di silenzi
ThE FiLInG cleRK
Pensieri leggeri e riflessioni di piombo: rimane così poco alla fine della strada. Meglio catalogare tutto, per non dover mai dire: "Sì, io ero lì, ma non lo ricordo più!". Riuscirò mai un giorno, guardando il tracciato, a capir cosa s'è perso e cosa ho lasciato?
martedì, maggio 21, 2013
D'essere e d'avere
Alba, solitaria di luce, di nebbie e di silenzi
martedì, febbraio 21, 2012
Playlist
Radiohead - Exit music (for a film) (la miglior canzone che sia mai stata scritta)
Fabrizio De Andrè - Ho visto Nina volare
Francisco Tàrrega - Recuerdos de la Alhambra
Pink Floyd - Shine on you crazy diamond
Noir Desir - Le vent nous portera (da ascoltare anche nella versione di Sophie Hunger)
La Metralli - Un niente di felicità (una delle più belle realtà degl'ultimi tempi)
Naomi Shemer - Yerushalayim shel zahav
David Bowie - The man who sold the world (ovviamente nella versione live dei Nirvana)
Mina - Bugiardo e incosciente (cercate l'interpretazione dal vivo a "Senza rete" 1970)
Eddie Vedder - Society
...su queste mi ci posso pure consumare i timpani...
...non mi dispiacerebbe più di tanto...
lunedì, gennaio 09, 2012
Tracce
Noi tutti viviamo, più o meno consapevolmente, questo mutamento: spostarci, allontanarsi e riavvicinarsi, perdersi per poi ritrovarsi e perdersi ancora.
E' una rivoluzione dolce, leggera, quasi intangibile, ma che continua nel sottofondo dell'esistenza.
Un migrare senza vento, quasi dimenticati.
La vita è costellata da vittorie e fallimenti, da amare tristezze e da sapide felicità, da tracce in continuo divenire, che sono come spilli, punti fermi, ricordi e testimonianze di noi.
E solo dopo aver percorso molta strada, ci si può voltare indietro a rendersi conto di ciò che è stato, di cosa siamo diventati, e dove siamo andati a finire.
Le altre anime, che intersecano la nostra magari anche solo per un breve tragitto, possono vedere quanto abbiamo lasciato nel passato, ciò che abbiamo creato. Ed anche quanto, e quanti, abbiamo abbandonato.
Molto spesso mi volto indietro e guardo: non è che veda molto.
Quel poco mi rende comunque felice, ma non certo appagato.
E' benzina per proseguire, per cercare altro ed altri, per continuare a rotolare nella direzione che, spero, mi renda domani una persona migliore rispetto a quanto possa essere oggi.
Lungo il mio percorso, di persone che sono state veramente importanti, ne ho incrociate poche, pochissime.
Non so se sia un bene od un male: non mi è ancora del tutto chiaro.
Ma va bene così, ci mancherebbe...
Ogni uomo, in fondo, è anche figlio di sè stesso, no?
In tutto questo divenire, però, ci sono anime che hanno lasciato tracce più profonde, più universalmente riconosciute come tali, gesta che hanno aiutato anche altri ad andare avanti.
Queste persone graffiano, lacerano la storia con un segno che non è semplice cancellare.
Ed il ricordo ne vive, più d'ogni altra cosa, grazie proprio a loro stessi.
Chimatela come vi pare, ma per me questa è la miglior definizione di ARTE.
Un grande artista, un interprete raffinato, magnifico divulgatore di cultura, è stato Andrea Parodi.
Io l'ho scoperto tardi, troppo tardi: sapevo che era "la voce dei Tazenda", ma niente altro.
Sono passati più di 5 anni dalla sua morte prematura, ed ora, un po' per caso, ho trovato i video del suo ultimo concerto, tenuto appena 3 settimane prima di volare via.
Regalatevi questi pochi minuti, perchè ne vale davvero la pena.
In questa sua ultima canzone, tutta la fatica, la malinconia e la consapevolezza dell'addio, ma rappresentate con una potenza, con una tenacia che è, insieme, fragilità e sentimento, e talmente evocativa che molto raramente è possibile trovare in un interprete.
E' proprio qui, in semplici e fuggitive parole, che si può percepire quel filo conduttore che dovrebbe abbracciare, sostenere e cingere il percorso di ognuno di noi.
In pochi minuti si condensa una vita intera: amore, solo amore e ben poco d'altro.
E fosse anche questa la sola traccia lasciata da un uomo, si può ben dire che ne è davvero valsa la pena...
martedì, luglio 12, 2011
Levare
Ed è in sere come questa, quando il caldo non ti fa più dormire
quando anche il buio t'appare inquieto e senza pace,
è in sere come questa che tra i suoi sospiri vorrei morire,
in quell'aria di passione in cui il silenzio sempre tace.
S'innalza un pensiero scuro, profondo segno di bufera
e tetro, sospeso, assente, quale gelo in primavera,
un pensiero che fugge, oltre il confine di questa mia vita
come rantolo di resa cocente, quand'essa fosse già finita.
E mentre la mente si contorce fra dubbio e direzione
indecisa se procedere o tentar altra soluzione
non rimane ch'adagiarmi sull'indomabile passato
a cercar di dividere ciò che s'è perso da ciò ch'ho lasciato
Una cosa però mi consola e su questa ho costruito
un'intera vita balorda, un discorso non ancora chiarito
illudendomi come allora di poter sempre decidere:
"Quando oramai perso non saprò dove andare,
come fiera ferita non mi curerò del battere
ma continuerò ad inseguir il levare..."
giovedì, settembre 23, 2010
Sarà...
Non mi è ancora ben chiaro se sia io a portare quella sfera sulle spalle, o se sia lei a rotolarmi sotto ai piedi, rendendomi sempre difficile l'equilibrio.
Quando lo scopro, vi faccio un fischio...
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Finalmente ho trovato il soggetto in questione sul web e, per completare le mie argomentazioni, vi mostro le sue capacità canterine:
Oltre a questo video, trovate altra robetta sul web.
Leggendo anche il suo blog, l'unica visione che mi salta in mente è il titolo della prima canzone dei Due di Picche (quella che girava parecchio quest'estate per radio).
Sì, proprio quella lì.
Sarà... ma secondo me questo qua... mah...???
lunedì, maggio 17, 2010
Stargazer
Gruppo ristretto, il loro: Gillan, Hughes, Dickinson, Coverdale e pochissimi altri.
Il tempo passa per tutti e non elargisce sconti: una voce del genere però può congelarlo e renderlo superfluo.
E ciò che rimane è solo storia.
Non c'è più bisogno d'altro.
martedì, febbraio 09, 2010
Solatia
- La regina di S'Ortu Mannu -
Ondeggia il mare vento, tra le fronde degli ulivi
dagl'armenti assopiti, nelle ombre del meriggio
e sulle erbe abbandonate, lungo i solchi dei declivi
forieri di un'estate, con l’insensato e caldo Maggio.
Assaporo una volta ancora questo fermo e sacro pane
ed un sorso d’uva solo ad allietare un po’ la gola,
per la magia di questo luogo e per le voci più lontane,
non rimane che quest'anima, che d’evadere tenta sola.
Mi sfugge ora lo sguardo oltre le nuvole e le colline
per cercare un’altra vita distante dal mio passato
e sebbene le membra mie nacquero povere e contadine
echeggia dentro un grido, moribondo ed inascoltato.
E’ adesso il sole basso, sul filo dell’orizzonte
come arancia palla ardente che sprofonda in un momento
e quest’aria che non si placa, e corre ora fronte al monte
verso cui chiedo io perdono, quasi fosse un mio lamento.